Così adesso, al minuto 24, sotto il cielo stellato e davanti a quell'alba rossa e gialla, abbiamo già tre frasi che aprono il film ad altri sentieri. La prima è di Alvin quando ha detto a noi e a Rose che deve rimettersi sulla strada, go back on the road: e vedremo che il suo tornare sulla strada è anche un tornare indietro sulla sua strada, nella sua vita.
La seconda frase, sempre di Alvin, è quella sul grabber, sulla pinza afferra-oggetti che serve appunto per afferrare le cose: ed è segnale di saggezza realista e pragmatica.
La terza frase è adesso quella di Rose, mentre il grande silos brontola: «It's harvest time», è tempo di raccolto. Lo dice Rose ma vale, varrà soprattutto per Alvin. Il suo viaggio verso Lyle (vivo? morto?) è, sarà il suo tempo di raccolto. Incontrerà gente, parlerà con degli sconosciuti, tirerà fuori vecchi episodi e vecchie, dolorose storie: insomma, farà i conti con il suo passato e sarà per lui tempo di raccolto.
Lynch, con tre frasi, trasforma il percorso lineare, piano e orizzontale di Una storia vera in un viaggio nell'esistenza trascorsa e in un tempo di raccolto. Una storia vera acquista via via un'architettura complessa, si gonfia, si allarga.
E Alvin parte. Sul tagliaerba. Con quel grosso rimorchio. Ed è tutto solo sulla strada che attraversa Laurens. Gli unici che lo guardano sono i vecchietti della ferramenta. Escono fuori, cercano quasi di fermarlo, cosa vuole fare, dove vuole andare, arrivano anche i cani, Alvin non fa una piega, tira dritto, piano. Il padrone della ferramenta, quello del grabber, profetizza che non arriverà neanche a Grotto (sembrerà che abbia ragione...).
Momento cinematografico riflessivo. Stacco sull'asfalto e sulla riga gialla della mezzeria. La macchina da presa si alza piano, inquadra Alvin alla guida del tosaerba che si tiene prudentemente sul bordo della strada, poi la macchina da presa abbandona Alvin, lo sposta nel fuoricampo, lascia anche la strada, sale verso le nuvole e il cielo, resta a guardare cielo e nuvole per un po', poi sempre con calma ridiscende verso i campi e la strada dritta: e Alvin con il suo trabiccolo si è spostato appena poco avanti.
Il tempo del film d'ora in poi è questo, un lento muoversi, uno spostarsi quasi a passo d'uomo. Sotto c'è la terra, sopra c'è il cielo. Lynch adatta il suo cinema all'impresa che racconta: un lungo, tranquillo sguardo sulla strada, poi su Alvin, poi in alto sul cielo, poi di nuovo giù verso terra, verso la strada, i campi e Alvin che avanza piano, che è pronto a tornare indietro nella sua esistenza, che è pronto al raccolto.
Intorno, nella campagna, le mietitrebbia sono al lavoro. Alvin saluta una signora che stende i panni, con accanto un bambino. Una dissolvenza dopo l'altra, campi e campi. Il cartello di Grotto a 5 miglia. Passa un grosso camion, spostamento d'aria, il cappello di Alvin vola via, deve fermarsi a raccoglierlo aiutandosi con i due bastoni, risale con fatica sul tosaerba, tenta di riaccendere il motore che non riparte. L'aveva detto quello della ferramenta che non arrivava a Grotto.
Alvin fa segno a un pullman di fermarsi. E tocca all'autista dire un'altra di quelle frasi che noi prendiamo e mettiamo da parte (la quarta), verranno buone per il nostro viaggio dentro il film. Alvin chiede un passaggio all'autista, ha un problema con il motore. L'autista guarda il tosaerba e dice quello che tanti altri diranno ad Alvin nel suo viaggio: ma cosa diavolo stai guidando, ma vai in giro su quel coso lì... Glielo diranno tutti quelli che incontra e l'ultimo che gli dirà questa frase la dirà, tale e quale ma con nella voce un'intensa commozione: e la frase suonerà completamente diversa.
Il pullman è della Sun Ray Tours ed è pieno di vecchietti e vecchiette. Sembra che Alvin non riesca a staccarsi da questo vecchio mondo.
(Qui trovate le puntate precedenti)