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Ivan è autista di taxi a Golden Sands sul Mar Nero. Ludmil fa il buttafuori per una catena di night club e procura i clienti a Ivan. Entrambi provengono da un villaggio sperduto nell'entroterra bulgaro, vicino al confine con la Grecia e sono amici d'infanzia. Ivan ha tentato a suo tempo la fortuna in Finlandia dove si è sposato e ha avuto un figlio, ma l'avventura è finita male; abbandonata la famiglia è tornato in Bulgaria con la scusa della madre malata, ma ora sta racimolando risparmi per tornare al nord nella speranza di farsi perdonare da moglie e figlio. Le cose si riveleranno via via più complicate di quanto Ivan possa pensare.

Tomislav Hristov è bulgaro ma vive in Finlandia da 2001. Conosce per esperienza diretta che cosa significhi essere migrante e non è quindi un semplice escamotage narrativo l'inserimento nella storia di Ivan del tema dei rifugiati siriani che attraversano la Bulgaria alla ricerca di un futuro europeo. Tema che del resto aveva già sviluppato nel suo precedente docu-fiction The Good Postman (2016), apprezzato in vari festival internazionali. Così come in Rules Of Single Life (2011) i protagonisti erano alcuni uomini bulgari alla ricerca di un'integrazione – anche sentimentale – nella società finlandese; se però qui i toni erano quelli della commedia, quelli che connotano la vicenda di The Good Driver sono dolenti e malinconici man mano che il progetto del protagonista si rivela sempre più un tentativo velleitario cui, peraltro, nella sua ostinazione Ivan non vuole rinunciare. Ostinazione che si nutre di vecchie immagini registrate di un figlio abbandonato bambino, che ritroverà ormai cresciuto e ostile, totalmente refrattario anche alla goffa offerta del padre di un aiuto economico per la famiglia che sta costruendo.

Accanto al protagonista acquista importanza decisiva il personaggio di Ludmil che ricompare al villaggio – dove Ivan, che ha dovuto bruscamente abbandonare il suo lavoro di taxista per turisti, è tornato impelagandosi poi nel traffico di migranti siriani  – con una borsa piena di denaro. Non sempre, però, con i soldi si possono risolvere gli errori del passato, e come si è detto Ivan lo scoprirà a sue spese; quella borsa però si rivela anche lo strumento di un destino che i due amici finiscono per accettare come l'unico ormai possibile per loro. Una storia di amicizia virile, quella di Ivan e Ludmil, fra due antieroi che rimandano a certe figure di loser di antica memoria, rivisitate qui senza retorica, con l'occhio asciutto del documentarista che sa come muoversi nel raccontarci questa vicenda di illusione, discesa e redenzione, fra sensi di colpa, violenza strisciante prima di tutto nelle relazioni sociali e impossibilità di porvi davvero rimedio. Fra le spiagge ammiccanti di Golden Sands e l'educata implacabilità dell'ordine sociale finlandese, la Bulgaria profonda da cui i due amici sembrano a un certo momento sul punto di sfuggire costituisce, nella sua separatezza solo apparente dal resto del mondo, una sorta di sintesi ambiguamente inconsapevole, ma tutt'altro che incolpevole, della sofferenza generale di cui siamo prigionieri.