Piazza Grande

Last Dance di Delphine Lehericey

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Nasce tutto da una promessa che Germain e Lise si sono fatti reciprocamente. I due coniugi hanno giurato l’uno all’altro che se fosse accaduto qualcosa a uno di loro, l’altro avrebbe proseguito e terminato quello che stava facendo. Così quando a 75 anni, il pigro Germain, lettore tranquillo della Recherche proustiana, diviene improvvisamente vedovo, non può fare altro che rispettare l’accordo. Si trova così catapultato in uno spettacolo di danza contemporanea con ballerini professionisti e dilettanti e una regista folle e creativa che decide di farlo diventare il cuore pulsante dello spettacolo, stravolgendo le coreografie precedentemente allestite.

Germain, dapprima scettico e reticente, scopre così una propria nuova fisicità e la relazione con gli altri attraverso il proprio corpo, con i gesti e i movimenti di una danza che lo impegna otto ore al giorno, sette giorni su sette. La maggiore difficoltà sta nel non farlo sapere alla propria famiglia e ai figli che già lo vorrebbero ricoverato in casa di riposo. I quali, nell’attesa, organizzano dei turni di visita prestabiliti per assicurarsi che al padre non manchi niente e cercano di organizzare il suo tempo per non farlo sentire solo. Il frigo trabocca di pasti pronti riposti in vaschette di plastica che Germain non mangia, dandolo invece ai gatti, e lui è costretto a trovare scuse improbabili per giustificare le sue assenze dovute alle prove quando i figli gli piombano in casa all’improvviso o gli telefonano incessantemente.

Con Last Dance, la regista Delphine Lehericey racconta una singolare elaborazione del lutto che si dispiega tra sorrisi teneri e momenti più malinconici. Come quando Germain scrive alla moglie defunta lettere in cui gli racconta le sue giornate ed esprime la sua mancanza di lei, andando poi a infilarle nei volumi della biblioteca pubblica di quartiere. Un gioco che era cominciato quando loro si erano conosciuti da giovani e si scambiavano messaggi scritti nascondendoli nelle pagine corrispondenti alla loro età, obbligando l’altro a sfogliare tutti i libri per trovare l’agognato bigliettino. Mai però Germain si sarebbe immaginato che la biblioteca avrebbe deciso di organizzare una mostra di quanto rinvenuto all’interno dei libri. E, tra le vestigia esposte dentro le teche, avrà la sorpresa di leggere le parole di sua moglie che non aveva mai letto. Come delle cartoline che arrivano da un passato remoto, mantenendo intatto quel legame d’amore che li ha uniti tutta la vita.

Dopo rocambolesche situazioni per sfuggire al controllo dei familiari che sospettano una sopraggiunta demenza senile, fino ad obbligarlo a farsi visitare da un neurologo, non manca il lieto fine, quando Germain mette tutti a tacere invitandoli alla prima dello spettacolo. I figli e i nipoti si commuovono e lui riacquista la sua indipendenza. Un film gradevole e dal tocco delicato che attraverso il linguaggio universale della danza racconta una metafora della vita e del rapporto con gli altri.