Fuori Concorso

Il cristo in gola di Antonio Rezza

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Il Vangelo laico e laido di Antonio Rezza mette assieme Ciprì e Maresco di Cinico Tv e Totò che visse due volte con Pasolini. Brani e personaggi sfilano tra Ostia antica e Matera e la spiaggia densa di ricordi storici di Anzio, luoghi che più pasoliniani non si può, in un mood tra il disperato, il sarcastico e il beffardo, in sfolgorante e contrastato bianco e nero.

Al solito, Rezza mostra la sua enorme capacità di sintesi, con passaggi anche geniali, come la risoluzione della strage degli innocenti ad opera di Erode con una sequenza di bambolotti di gomma lanciati per aria in ogni direzione. San Giovanni Battista parla in pugliese stretto, e Cristo compie i suoi miracoli sulla strada e guarisce i malati e gli infermi lanciando grida acutissime. Sullo sfondo, nella colonna sonora, comizi stentorei di Peron in spagnolo si mescolano con il più tipico rumorismo rezziano (stridii, mugolii, pigolii…) con effetti irresistibili di spiazzamento.

Al solito, da gustare è soprattutto il lavoro sui corpi umani, quello di Cristo e quelli di tutti gli altri personaggi, che oscillano tra il grottesco e il deforme. C’è un demonio con martello sega e pialla, c’è una Madonna che accompagna il Figlio lungo tutto il suo tragitto. Il Nazareno è incapace di parlare, di comunicare con gli uomini; è esso stesso un uomo urlante e sofferente, gravato dal peso, oltre che della croce, di una condizione di solitudine senza rimedio (c’è molto Beckett, qui). Del resto, ogni uomo, sembra dire Rezza, deve portare la croce sua, non c’è nessun Grande Altro, per dirla con Lacan, che possa compensare, giustificare, sgravare la nostra sofferenza sulla Terra.

Ciascuno ha la croce sua, alla fine, come mostra la geniale sequenza dei titoli di testa, in cui Rezza pianta sulla sabbia tante piccole croci con sopra iscritti tutti i nomi del cast e dei collaboratori tecnici.