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La recensione di I giorni del cielo a firma Paolo Vecchi si chiude su due aggettivi  (“epico e commovente”) che dichiarano la cifra stilistica di un cinema ancora tutto a venire, ma che in questo film ha già trovato compiutamente espressione: di Malick si può già dire che è “una figura dalla quale è lecito aspettarsi grandi cose”. Aspettative confermate poi per strade e tempi e modi che certo non erano prevedibili in quel lontano 1979, ma di cui Cineforum si è fatta da subito garante.

Adriano Piccardi

 

Cineforum n.187 - 1979

Terrence Malick

I GIORNI DEL CIELO 

Paolo Vecchi

 

UN RISARCIMENTO

Cineforum è stata l'unica rivista italiana del settore (a parte, forse, Filmcritica) a mettere nel giusto rilievo l'importanza del film d'esordio di Malick, Badlands (La rabbia giovane). Non vogliamo con questo atteggiarci a scopritori di nessuno. Ci aveva già pensato, con la foga onnivora che la contraddlstngue, la pubblicistica francese. Piuttosto, con il senno di poi e una prospettiva meno scorretta, tentiamo di rettificare alcuni giudizi che frettolosamente avevamo espresso su un autore la cui fisionomia ci appariva tutt'altro che definita: in sostanza, di dare a Malick quello che è di Malick. Ciò che cl aveva lasciati perplessi in Badlands era la non perfetta fusione, nel progetto, della componente cinefila, della sequela di citazioni che, per quanto raffinate, ci parevano in sostanza procedere sulla falsariga di analoghe operazioni alle quali ci aveva abituato il cinema americano degli anni '70, la cui improduttività è testimoniata, ad esempio, dalle secche su cui si è da tempo incagliato un regista una volta promettente e interessante come Bogdanovlch. Questo l giorni del cielo, film a notevole budget e di grosso impegno produttivo, funziona egregiamente come primo termine di confronto, definendo con chiarezza le costanti, stilistiche e tematiche, di un autore di sicuro talento e, nella sua maggiore omogeneità e personalità, consegna al cinema americano contemporaneo una figura dalla quale è lecito aspettarsi grandi cose.

 

IL CARNEVALE DEGLI ANIMALI: ACQUARIO

Come Badlands, il film rivisita uno dei topoi classici del cinema americano: quello della coppia criminale. Inutile a questo proposito perdersi in citazioni: da You only live once (Lang) a They live by night (Ray), da Bonnie and Clyde (Penn) a Thieves like us (Altman) il panorama è ricchissimo. Piuttosto ci preme far notare come, rispetto all'opera di esordio, l giorni del cielo sia più preciso nella determinazione di un contesto, storico, politico e sociale, in cui i personaggi sono irreparabilmente ingabbiati al punto da risultare mere funzioni di esso. La mistificazione della mobilità sociale, cardine portante del sogno americano, viene immediatamente smascherata nel film. Già le foto d'epoca dei titoli di testa (da Lewis Hine a Henry Hamilton Bennett, da Frances Benjamin Johnston a Eddie Baskin, una vera rassegna della «fotografia sociale» degli anni '10) definiscono ben più di una generica «atmosfera» e preparano agli stracci del tugurio di Abby e Bill e alle fiamme della fonderia.

Cambia il paesaggio, ma anche il lavoro dei campi presenta i suoi «tempi» (il fattore multa Abby perché non è riuscita a tenere il ritmo infernale della mietitrice) e le fornaci dei trattori a vapore, così simili alle «bocche» delle officine, la dicono lunga su una pretesa diversità dell'ambiente e della fatica dei braccianti. Intanto in Europa c'è la guerra (siamo nel 1916), lo «sforzo agricolo» statunitense si giustifica anche in essa, ma nel film il conflitto è assente (solo nella penultima sequenza vediamo dei soldati che partono col treno), così come la visita del presidente Wilson si risolve nel fantasmatico passaggio di una locomotiva. Le determinazioni storico-sociali, sfuggendo ai protagonisti, relegati ad un ruolo di pura passività, assumono la misteriosa coloritura di un destino.

Questa oscura percezione della impotenza a modificare la propria sorte priva i personaggi di una precisa spinta motivazionale. È quindi conseguente la loro amoralità, la mancanza quasi totale di psicologia, la relativa indifferenza con la quale essi si pongono di fronte agli avvenimenti. Nel loro «fare quello che accade» sembra trovare concretezza l'unico sentimento che li accomuna: l'istinto di conservazione. L'altro estremo rispetto al quale i protagonisti si definiscono è costituito da una natura indifferente e splendida, nei confronti della quale essi sono a loro volta necessariamente indifferenti. Come in Badlands i personaggi sembrano accorgersi della bellezza della natura (e goderne, ed entrare in sintonia con essa) soltanto dopo avere rotto (violentemente, tramite il delitto) con le norme sociali e morali.

[...]

Cosi Bill e Abby conoscono momenti di abbandono quasi panico, sembrerebbe, grazie alla loro situazione sessualmente anomala (si fingono fratelli, e questo conferisce ai loro rapporti un'aura di incesto); ma immediatamente la mdp li situa, danzando loro intorno, sullo sfondo dei compagni di lavoro e delle loro miserabili baracche. Nella notte d'amore rubata al farmer la trasgressione acquista connotati più esplicitamente sociali, e l'acqua dello stagno potrebbe fare spropositare di banalità amniotiche. Ma cade un bicchiere, i pesci gli nuotano attorno con indolenza, e l'insistenza con cui il regista lo inquadra ci avverte della natura simbolica di questo segno: la sequenza allude alla fragilità dei "giorni del cielo" dei due amanti e insieme prepara, nell'analogia della costruzione e del taglio dell' inquadratura. la morte di Bill. Tra questa e l'uccisione del farmer è racchiuso il momento di maggiore sintonia con la natura da parte dei personaggi: la trasgressione suprema, il delitto, liberando da qualsiasi prospettiva sociale, scatena l'illusorio trionfo del principio di piacere. La presenza degli animali è un'altra costante del cinema di Malick, .e suggerisce l'elemento fantastico e misteriosamente oscuro nella vita degli uomini.

Parzialmente estranee a questa funzione risultano le cavallette, il cui incombere minaccioso è annunciato già durante la sequenza del matrimonio (primissimo piano di uno di questi insetti su uno stelo d'erba) e culmina nella straordinaria orchestrazione dell'incendio. Flagello biblico (quindi divino), esse sfuggono alla legge della natura, appartengono piuttosto al soprannaturale, cosicché la loro caratterizzazione risulta specificamente simbolica. Con uno di quei parallelismi che sono frequenti nel film, Malick sembra inoltre suggerire l'analogia con gli sciami di uomini che, seguendo le stagioni e il caso, migrano attraverso le sterminate praterie dell'ovest. In essi non c'è nessuna presunzione (o coscienza) di poter padroneggiare il proprio destino: come pesci racchiusi in un acquario, fanno spettacolo delle loro attonite ed attutite emozioni, circondati da un'aura di miserabile e carnevalesca magia.

 

IL FASCINO DELLA DISTANZA

Come Badlands, l giorni del cielo accumula una serie di riferimenti, cinematografici, innanzitutto, ma anche pittorici, fotografici, musicali. Il procedimento è il solito: per fare un film sugli anni '10, Malick usa l'ottica dei grandi maestri del muto. In particolare, sono riconoscibili il Murnau americano, soprattutto, ma anche Griffith, Dovzenko e, tra i cantori del difficile rapporto tra l'individuo e l'ambiente naturale, lo Sjostrom de Il vento. Della musica e della «fotografia sociale» abbiamo già parlato; rimane da dire qualcosa sulla pittura. lnnanzitutto è da citare l'influenza di Edward Hopper, autore di paesaggi urbani ed agresti, da una cui tela deriva la incredibile casa del farmer (anche se l'idea dell'isolamento in un mare·d'erba è presa pari pari da Il gigante). Più in generale si può fare riferimento alle scuole del regionalismo e del precisionismo, con particolare accento su Grant Wood, al quale si deve il celeberrimo ritratto di coppia detto "Gotico Americano".

[...]

Ciò che in Badlands poteva risultare a volte fastidiosa citazione, qui è perfettamente assimilato e utilizzato con funzionalità. Altra analogia rispetto al primo film è data dalla voce fuori campo, mediante la quale una protagonista - là principale, qui comprimaria - sembra raccontarsi la vicenda. Malick, in una conferenza stampa a Cannes, ha dichiarato che era sua intenzione utilizzare il commento off di Abby; in seguito, conosciuta Linda Manz, si è convinto ad aggiungere il personaggio della sorellina come io narrante. Ciò ha provocato, rispetto a Badlands, uno spiazzamento ovvio, con una perdita di soggettività ma anche di attendibilità dell'informazione. La bambina, infatti, vive la vicenda marginalmente, il suo commento didascalico offre allo spettatore molto meno di quanto testimonino le immagini. Come la rarefazione della psicologia dei personaggi, questo artificio tende a valorizzare, nemmeno tanto paradossalmente, la componente specificatamente cinematica, fungendo quasi da didascalia di film muto.

Saldamente fissato su una lontananza irrecuperabile se non attraverso la stilizzazione, il film fa del suggerimento ellittico la sua cifra stilistica: un treno schiacciato dal teleobiettivo su un ponte filiforme allude con essenzialità al grande esodo, le ombre nel gazebo inoculano nel farmer il terribile dubbio, la lontana percezione di una carezza lo conferma. E la premonizione, che è nelle cose e nella natura, vale più del fatto stesso. Ma, a differenza di Badlands, l'atteggiamento di Malick (come quello di Linda nei confronti del farmer) è tutt'altro che univoco, oscilla tra il distacco e il lirismo, tra la contemplazione e la partecipazione. Nell'assenza di psicologia, nella mancanza di motivazioni indivilduali, il pathos è purtuttavia presente, nel senso della natura e nell'ineluttabilità della tragedia e del destino: l giorni del cielo è un film epico e commovente.