Sostieni Cineforum | Notorious e Hitchcock l'orologiaio

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Per parlare di Alfred Hitchcock e dei meccanismi perfetti del suo cinema, Arturo Invernici ha scelto un pezzo di Adriano Piccardi sulla sequenza finale di Notorious (definito, non a caso, da Truffaut "la quintessenza di Hitchcock"), pubblicato su Cineforum n.213 - 1982. Un'analisi rigorosa ma non accademica che fa riflettere su come alla base dell'impatto emotivo che un film ha su di noi possa esserci non solo l'ispirazione dell'artista ma anche un meticolosissimo lavoro da orologiaio.

 

 

Cineforum n.213 - 1982

I meccanismi del cinema di Hitchcock 

Adriano Piccardi

Poiché il cinema di Hitchcock tende a priori alla propria perfezione, e quindi a una forma di trasparenza assoluta dei suoi meccanismi testuali e d'identificazione (trasparenza in cui tali meccanismi finiscono poi per occultarsi effettivamente, anche nel pieno della loro attività), la scelta del film da cui estrarre la sequenza in questione si è diretta necessariamente su Notorious (L'amante perduta, 1946), perfetto esempio di racconto cinematografico definito da Truffaut, nella lunga intervista contenuta in Il cinema secondo Hitchcock, la quintessenza di Hitchcock.

Secondo le parole del regista inglese: "La storia di Notorius è semplicemente quella di un uomo innamorato di una ragazza che, nel corso di una missione ufficiale, è andata a letto con un altro uomo ed è stata costretta a sposarlo". L'intreccio è dunque semplicissimo, cosi come elementari sono i sentimenti che vi entrano in gioco, ma ciò che Hitchcock omette di dire in questo suo stringatissimo riassunto è che l'uomo in questione si impegna poi in una personale operazione di salvataggio, per riportare a sé la donna amata, che perviene positivamente a termine proprio nel momento in cui tutto sembrava perduto. E questo non è ovvio, proprio perché per Hitchcock non è ovvio l'happy end: "In certi casi il lieto fine non è necessario. Se si tiene il pubblico bene in pugno, ragionerà con voi e accetterà una fine triste".

La sequenza prescelta è stata dunque quella finale, in cui invece l'happy end si concretizza, mettendo in moto in maniera esemplare tutte le figure rientranti nel conflitto che il film ci ha presentato e che ora si avvia alla sua risoluzione; ma in cui, anche, si dispiega al massimo la trasparenza ingannatrice con cui fabula e racconto interagiscono risolvendosi in un esempio di altissimo linguaggio cinematografico dove la fluidità irresistibile dell'azione si unisce senza residui all'intelligente consapevolezza, da parte del cineasta, circa l'inseparabilità dei due poli espressione/percezione (riflesso dell'imprescindibile dualità film/pubblico).

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Cinema e sogno. Una drammaticità giudicante

In "Cinema e cinema" n. 25/26, Giulia Alberti afferma (La donna, lo sguardo e il desiderio: fratture nel testo classico): "la figura maschile definisce da fuori lo spazio dell 'azione, vede il luogo, conduce lo spettatore nello spazio della rappresentazione e verso la figura femminile, mentre la donna è lo sguardo dentro a questo spazio, è lo sguardo nell'azione, che ritaglia i particolari significativi nell'insieme dello spazio. L'osservazione di queste due diverse funzioni degli sguardi diegetici ci aiuta nella ricerca del posto dello spettatore permettendoci di indaga re su cosa lo leghi alla visione del film". Questa affermazione, verificata dalla Alberti nell'analisi delle tre prime sequenze di Notorius, trova limpido riscontro anche nella sequenza finale. Devlin decide da solo di recarsi a casa di Sebastian, nessuno glielo ha ordinato, la sua determinazione è ferrea e la sua sicurezza senza cedimenti: non basta l'accoglienza poco promettente di Giuseppe e l'anticamera a cui viene costretto, per demoralizzarlo. Ancora una volta, è lui che prende l'iniziativa e si reca al piano di sopra, nella stanza di Elena. Da questo momento Devlin si assumerà il ruolo di guida, nei confronti della donna e dello spettatore; per suo tramite si concretizzeranno modi e tempi dell'azione, saranno sue le parole che ne imposteranno lo svolgimento.

Contrapposto a questo polo dinamico, a questo sguardo vincitore, è quello della donna, di colei che è vittima della macchinazione, del terribile incubo, dal fondo del quale all'improvviso spunta la persona che ormai credeva perduta e che ora invece si farà carico della sua salvezza. È la dialettica tra questi due sguardi - sguardo dell'azione e sguardo del desiderio - che crea lo spazio in cui la situazione va sviluppandosi e in cui il pubblico si trova trasportato e avvolto, pronto a proiettarsi nell'irresistibilità dell 'azione di Devlin, ma al contempo realmente identificantesi solo nella speranza di resurrezione di Elena. Come questa, anche il pubblico attende di scorgere la fine del tunnel, di uscire dalla spirale di questo brutto sogno. Un brutto sogno in cui era stato trasportato nella fase precedente della vicenda, vista tutta attraverso il personaggio di Elena, progressivamente vittima - dapprima inconsapevole, poi cosciente ma ormai impossibilitata a difendersi - dell'avvelenamento. Così ora, alla lucidità e alla determinazione di Devlin fa da contraltare il torpore, la sonnolenza (è Elena stessa a parlare anche di sonniferi che le vengono propinati insieme al veleno) in cui la donna oscilla: ne deriva, oltre alla spossatezza, un atteggiamento languido e sensuale che sottolinea maggiormente il momento della riconciliazione tra i due amanti. La penombra della camera e i movimenti fluidi, avvolgenti, estenuanti e prolungati della mdp riportano alla sensualità del lungo bacio in albergo, che le vicende del film solo apparentemente avevano poi cancellato - in realtà allusivamente rafforzandone in continuazione il ricordo, e il desiderio di una sua ripetizione.

La dimensione ormai completamente onirica in cui, grazie alla presenza del punto dì vista femminile, la sequenza ha preso a muoversi, diventa esplicita e magistralmente ricondotta a una pura questione di linguaggio nel momento in cui il gruppo composto da Devlin, Elena, Sebastian e sua madre inizia a scendere le scale: da qui fino a quando Devlin ed Elena entreranno in auto, il movimento che li farà uscire dalla casa si svilupperà nell'evidenza di uno slittamento inarrestabile, anche se drammaticamente orchestrato dal montaggio incalzante dei primi e primissimi piani (nella sola discesa dello scalone si consumano 41 delle 92 inquadrature complessive che formano la sequenza): l'irrealtà sonnambolica di questa discesa e di questa fuga angosciosa, compiuta proprio sotto gli occhi dei potenziali carnefici, si conclude con il perfetto movimento di macchina che accompagna Sebastian e i due innamorati lungo la scalinata esterna facendo infine scivolare letteralmente questi ultimi nell'automobile/arca che li condurrà oltre le soglie della notte verso la felicità ritrovata.

La sequenza si distribuisce in cinque momenti: l'arrivo di Devlin, la discussione in corso nello studio, l'incontro tra Devlin e Elena, la discesa e l'uscita dalla casa, l'abbandono di Sebastian al suo destino. A poco a poco, quella che era una semplice iniziativa personale senza obbìettivì precisi e per questo dagli esiti incerti, si trasforma in una irresistibile catarsi, dove - a rigore - ormai le singole volontà hanno ben poco da dire, dal momento che è la stessa concatenazione degli avvenimenti a dettare la propria conclusione e l'implicito giudizio che in questa è contenuto. Il primo piano di Devlìn quando Giuseppe gli dice della malattia di Elena; il primo piano di Sebastian, nello studio, sotto l'occhio sospettoso (ma di che cosa? non ci possono essere ancora elementi nei suoi confronti; è Sebastian stesso che si vede riflesso nello sguardo che si posa su di lui, e perciò egli stesso si condanna) del suo collega; queste due inquadrature segnano la svolta decisiva e irreverslbile di due vicende personali: da questo momento in poi è l'azione stessa che si prende carico dei personaggi per condurli a destinazione, infallibilmente.

Ed è la perfetta "macchina cinema" del grande maestro a controllare, ed anzi a determinare, le scansioni di questa azione e di questo giudizio definitivo; nulla, neppure il gesto più rapido, viene compiuto senza che sia la mdp a costruirlo, questa volta secondo il punto di vista inappellabile del cineasta: e quando Devlin abbassa la sicura della portiera, sono il fulmineo controcampo e la panoramica secca e precisa a istituire lo spazio e la necessità stessa del gesto che assicura la libertà ai due fuggiaschi e la giusta punizione per chi ha tentato di intromettersi nella loro felicità.