Sostieni Cineforum | Almodóvar e La legge del desiderio

focus top image

I pezzi del cuore: articoli, interviste, analisi e approfondimenti dall'archivio storico di Cineforum, scelti per te dalla redazione della rivista per la campagna Sostieni Cineforum

A cavallo tra gli anni 70 e 80, la Spagna sta cambiando. I settimanali dedicano copertine al problema della droga e Felipe Gonzales cerca di convincere gli spagnoli ad alzarsi presto la mattina per andare al lavoro. Per fortuna metà dei giovani madrileni resta sveglia tutta notte per comporre canzoni, bere, disegnare fumetti, bere, girare cortometraggi in 16 o 35 e bere e fumare in maniera spropositata... Per parlare di Pedro Almodóvar, Chiara Borroni ha scelto La legge del desiderio (1987) e un pezzo di Gualtiero De Marinis, l’unico a poter mettere delle note in una recensione senza sembrare mai pedante o dimostrativo ma solo, semplicemente, pieno di idee e di cose da dire. Ironico, acuto, colto, indomabile. Borges, Duras, i Kaka de Luxe, Buñuel (che non c’entrava), Butragueño per raccontare di cos’era il cinema di Almodóvar, scrivendo. 

 

 

Cineforum n.270 - 1987

La legge del desiderio di Pedro Almodóvar

Gualtiero De Marinis

Il cinema spagnolo è un cinema letterario, angustiato dai ricatti della cultura alta e dallo statuto d'autore. È sempre stata l'ironia, nei casi migliori, a salvarlo: cfr. La vaquilla di Berlanga sulla guerra civile che ha suscitato in Spagna reazioni comiche (sull'infedeltà storica) simili a quelle registrate da noi all'uscita del Siciliano di Cimino. Oppure in altri casi, è stata la perversione a salvarlo: cfr. Lola o Bilbao di Bigas Luna, ma anche questa molto seria e molto letteraria. Alla morte di Franco tutti hanno un film sul franchismo nel cassetto, un film che a quel punto devono assolutamente fare, ma che comunque nessuno andrà mai a vedere. Ma soprattutto alla morte di Franco metà della Spagna scopre che esistono cose come l'omosessualità, il sadomasochismo, la droga, il divorzio, l'aborto e (qualche anno dopo) l 'Aids (che da loro si chiama Sida).

[...]

È in questa situazione che spunta fuori Almodóvar, impiegato ai Telefoni di Stato, omosessuale, fumettaro, teatrante, scribacchino, superottista, cantante rock. Fin dall'inizio scarta a priori cultura alta (che peraltro non possiede) a favore delle sottoculture ibride. Tutta una generazione post-franchista si riconosce immediatamente in lui. Ma non ci mette molto a conquistare l'intera nazione per la sua capacità di mettere in scena lo shock e allo stesso tempo, privo di morale e di storia com'è, l'antidoto allo shock. La passione dell'indifferenza è il suo credo. 

[...]

La ley del deseo

"Il desiderio dell'uomo trova il suo senso nel desiderio dell'altro, non tanto perché l'altro detenga le chiavi dell'oggetto desiderato, quanto perché il suo primo oggetto è di essere riconosciuto dall'altro", scriveva Jacques Lacan. In questo senso è lampante la sequenza iniziale dove la voce ordinatrice, giudiziosamente fuori campo, gode unicamente del godimento altrui o meglio del riconoscimento altrui del proprio desiderio. Allo stesso modo funziona la lettera che Pablo spedisce a Juan e che questi sconsideratamente firma: Pablo vuole soltanto che Juan riconosca il suo desiderio, non che si comporti realmente di conseguenza. Quando Antonio entra in scena chiude il triangolo facendo slittare immaginariamente Juan nella posizione di agnello sacrificale, ma la sua irruzione ha tutt'altro segno. L'avance di Pablo a Juan è dell'ordine della seduzione (si occupa di segni, basta firmare una lettera), quella di Antonio è invece una profferta d'amore.

"Forse bisogna esigere di essere amati per paura di essere sedotti, senza dubbio bisogna amare per non sedurre più", scriveva Jean Baudrillard. È l'opacità di Juan, la sua refrattarietà a riflettere il desiderio di Pablo, a renderlo seducente. E senza dubbio fa bene Pablo a chiedergli delle prove d'amore per eliminare il pericolo della seduzione. La richiesta troppo immediata e totale di Antonio a Pablo è invece una richiesta di capitolazione che stronca ogni possibilità di seduzione. "Amare qualcuno è isolarlo dal mondo, è cancellare le sue tracce, spossessarlo della sua ombra, trascinarlo in un avvenire di morte", ancora Baudrillard. Il rifiuto di questo "avvenire di morte" da parte di Pablo spinge Antonio a rialzare la posta con una morte superiore: quella di Juan e, se non basta, la propria. L'assassinio di Juan diventa così una sorta di suicidio mancato o piuttosto dilazionato. È la prova d'amore con la quale si pospone quel suicidio finale che è la vera vertigine dalla quale Pablo finirà per essere attratto. Di nuovo: se Almodóvar credesse alle leggi, questo sarebbe un dramma d'amore e di morte. In realtà né il divieto dell'omosessualità, né il tabù dell'omicidio o del suicidio vengono mai messi in questione. Sterminato il pathos della legge, escluso a priori il godimento della colpa, Almodóvar non può far altro che giocarsi tutto sulla scena, senza il fuori campo della morale, rispondendo ad un'unica legge di funzionamento: quella del desiderio. 

La voz humana

Eppure c'è della sofferenza da qualche parte, ma si limita al personaggio di Tina. Drammaticamente, Tina è l'unico personaggio ad avere spessore. Se il triangolo gay su cui pesa peraltro un qualche sospetto d'autobiografismo appare gelidamente meccanico, la parte di Tina raggiunge una profondità drammatica. È la prima volta in sei film. Almodóvar, è noto, è un direttore d'attrici, però il suo cinema è il cinema del kitsch, della superficie, dell'indifferenza. Tlna invece ha un passato: il suo amore per il padre per il quale arriva anche a farsi l'operazione a Casablanca è da un lato il tipico eccesso almodovariano, dall'altro carica il personaggio di una forza che rende immediatamente di cartapesta tutti i giochi letterari del fratello. Solo Antonio può rivaleggiare con lei, ma il suo destino è segnato fin dalla prima inquadratura. A Tina invece è concesso piangere, civettare, portar regali ai malati dell'ospedale, innamorarsi, cadere nella trappola di Antonio. La stessa messa in scena della Voce umana che è prima di Cocteau e poi del fratello-regista non è per lei un banale raddoppiamento letterario, ma una sorta di prolungamento della propria vita. Qui Almodóvar si lascia andare, tra l'altro, ai suoi antichi vezzi, all'orpello, alla saturazione della scena con la bambina su un carrello che canta "Ne me quitte pas", che in quanto a kitsch fa il paio soltanto con il "Guarda che luna" nella scena del faro. Ma se il problema di Pablo è quello della letteratura, quello di Tina è la vita, tant'è vero che finirà per reagire violentemente al tentativo di Pablo di scrivere un soggetto su di lei ovvero al rischio di farsi fagocitare dalla letteratura. Di quale errore si tratti Pablo lo capisce solo alla fine quando prende la macchina da scrivere e la getta dalla finestra. Il fatto che poi questa, cadendo su un cassonetto dei rifiuti, prenda fuoco è unicamente un colpo di teatro.

La scrittura

Sarà un caso, ma è battuti a macchina (su fogli spiegazzati, come recuperati da un cestino) che compaiono i titoli di testa del film. Non è un caso comunque l'insistenza sulla scrittura. Pablo deve scrivere perché scrivere vuol dire allontanarsi dal mondo. Così come fare cinema per lui vuol dire produrre uno scollamento ironico tra l'oggetto (il ragazzo della sequenza d'apertura) e il desiderio e quindi un freno alla seduzione e alla messa in questione di sé come soggetto. Su questa sequenza del resto Almodóvar opera un ulteriore raddoppiamento rompendo (o almeno pretendendo di farlo) ogni possibile identificazione tra sé e Pablo con quel carrello all'indietro che mostra l'azione dei doppiatori. Pablo deve scrivere perché è attraverso la lettera a Juan che può mettere fine alla seduzione che questi opera su di lui. Ma l'ossessione per la scrittura non si ferma qui. Perché, considerato che mal sopporta le smanie possessive di Antoio, continua a scrivere ad un amante cosl molesto? Evidentemente perché non vuole perdere l'occasione d'impersonare Laura P. e quindi in un sol colpo soddisfare il sogno immaginarlo d'essere donna e utilizzare lo schema iperletterario della donna paravento. E tutto questo senza correre rischi, ben al riparo di una macchina da scrivere che garantisce l'unità del soggetto anche quando questo si nasconde sotto nomi differenti. È per questo che inutilmente la macchina da scrivere circola nel finale del film: per essere gettata teatralmente dalla finestra quando comunque è troppo tardi.