Bastarono quattro film, tre il 1957 e il 1963, per rendere familiare al pubblico italiano il baffuto (sovente) François Périer, anche se le parti non erano del tutto commendevoli: il rispettabile ragioniere Oscar D'Onofrio che in Le notti di Cabiria tenta di assassinare Giulietta Masina (quante cose ci avrebbe risparmiato!), l'onesto impiegato Luigi Bonelli de Il magistrato (José Suárez) che conclude la sua grama esistenza con una strage familiare, il deamicisiano maestro Di Meo che affianca l'utopista professor Sinigaglia (Mastroianni) ne I compagni, il commesso librario Adolfo che inganna la povera Sandra Milo, la “culona”, ne La visita.
La generazione successiva lo conoscerà invece come il bieco avvocato Terrasini, perfido avversario di Michele Placido, nelle tre prime miniserie de La Piovra (1984-1987). Pochi anni ancora e il buio dell'Alzheimer scenderà su di lui, sino, un decennio dopo, alla morte (29 giugno 2002).
Ma il nostro pubblico nazionalista, e ben disposto alle adozioni, dimentica di aver visto – i più fortunati – il parigino Périer, nato nel lontano 1919 e mito della radiofonia, oltre che del teatro d'Oltralpe, in Albergo Nord (1938, di Carné), I prigionieri del sogno (1938, di Duvivier), Il silenzio è d'oro (1947, di Clair), Orfeo (1950, di Cocteau), Gervaise (1956, di Clément), Frank Costello faccia d'angelo (1967, di Melville), Z, l'orgia del potere (1968, di Costa-Gavras), Stavisky il grande truffatore (1974, di Resnais).
Un cinema da maestri, e lui in quel parterre de rois non sfigura certo.