«Nasce a New York Raoul Walsh (morirà a Simi Valley, California, il 31 dicembre 1980). Oltre sessanta titoli diretti nel muto (oltre alla parte dell'assassino di Lincoln in Nascita di una nazione di Griffith, 1915) tra i quali Il ladro di Bagdad con Douglas Fairbanks (1924). Quasi settanta nel sonoro, passando con disinvoltura da un genere all'altro con una capacità presso che unica di mantenere desta l'attenzione e la voglia di vedere come continua e come va a finire nello spettatore (doti che il cinema, eccettuato qualche grande, ha rischiato poi di perdere per strada...). Uno dei grandi cineasti monocoli: come Lang, come Ford, e altri. “Azione, azione, azione! Questa è stata fino ad oggi la mia regola” ebbe a dire. Fu uno dei grandi che dovettero aspettare gli anni '60 e l'Europa per vedersi riconoscere appunto una grandezza della cui certificazione, con tutta probabilità, non gliene fregava niente. Autobiografia: Each Man in His Time (1974: dieci anni dopo l'ultimo film, il melanconico e struggente Far West). Che titolo allusivo. Purtroppo mai tradotta in italiano.»
Cosa aggiungere a questa bella “luna” di Nuccio Lodato, a lungo compagno di strada in questa avventura? Che il presente estensore – refrattario quando non strenuo oppositore del genere “bellico”, specie se made in Usa – fa tre debite eccezioni grazie appunto a Raoul Walsh. A cominciare da Obiettivo Burma! (1945), uno dei pochi film di cui il protagonista Errol Flynn andasse fiero, ove la Birmania del titolo (che fatica capirlo!) era trasposta in California, e il cui ritmo realistico scatenato e incalzante faceva perdonare il fatto che l'antinipponico si mutasse in razzista. Proseguendo con Prima dell'uragano (1955), in cui Walsh si cimenta da par suo con il CinemaScope, carrellata sulle durissime battaglie del Pacifico (Guadalcanal, Saipan, Filippine) che, con tanti mezzi a disposizione pare snobbarli, privilegiando le psicologie dei personaggi e i rapporti uomini-donne e così deludendo i committenti. Per concludere con Il nudo e il morto (1958) dal romanzo autoreferenziale di Norman Mailer, bestseller da dieci anni: meno scurrile nel linguaggio del libro, certo meno innovativo nelle scelte espressive (non si può trasporre Dos Passos sullo schermo...), meno esplicito nel denunciare le atrocità della guerra (l'inutile sterminio finale dei giapponesi ormai neutralizzati), resta pur sempre uno specchio degli effetti della società americana borghese e militare, della sua “follia”.
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