Allo scoccare dell'ottantesimo compleanno fu il primo a ottenere un “guantone d'oro” per la sua “vita da boxeur” a Ring!, il defunto festival della critica di Alessandria. Lo ricordiamo fiero quanto schivo, commosso ma fermo, burbero ma spiritoso, perfetta espressione della triestinità. Destinato a essere imperituro. Da non crederci quando ci ha lasciato il 6 giugno 2015, forse ultimo testimone del “coraggio della cinefilia”, come si intitolava un bel libro in suo onore (Scrittura e impegno nell'opera di Callisto Cosulich, a cura di Elisa Grando e Massimiliano Spanu, Trieste, 2012).
Il cinema entra ben presto nella vita di Callisto, nato appunto in questo giorno, a cominciare da quando nel 1947 dà vita, con il sodale Tullio Kezich, alla sezione cinematografica del Circolo della Cultura e delle arti della città natale e nel 1948 esordisce come critico sul Giornale di Trieste (cfr. il volume curato da Roy Menarini, Il cinema secondo Cosulich: scritti di Callisto Cosulich sul Giornale di Trieste, 1948-1953, Transmedia, 2005).
Trasferitosi a Roma, nel 1950 è nominato segretario generale della Federazione Italiana Circoli del Cinema (FICC) e, con Enrico Rossetti, fonda il primo cinema d'essai italiano, il Quirinetta di Roma, contribuendo in modo significativo alla diffusione dei film d'autore. Compito effettuato anche, negli anni '70, curando per la Rai cicli monografici su sport e cinema, sul cinema giapponese, sulla New Hollywood, su Billy Wilder, Ozu Yasujiro, Josef von Sternberg.
Ma le sue maggiori qualità le esprime come critico militante, che non trascura inchieste, politica e attualità, esercitando su Italia domani dal 1959 al 1960, Abc dal 1969 (quando sostituisce “scandalosamente” Vasco Pratolini) al 1972, Paese Sera dal 1981 al 1993, Il Piccolo dal 2003, Avvenimenti-Left dal 2007, ma anche su classiche riviste quali Cinema, Cinema Nuovo, Bianco e Nero, Filmcritica.
Pochi libri ma buoni: La scalata al sesso, Immordino, 1969, bibbia del cine-erotismo osteggiata dai bacchettoni di sinistra e resa quasi clandestina (ma senza che ciò turbasse la sua fede); il fondamentale Hollywood Settanta: il nuovo volto del cinema americano, Vallecchi, 1978; I film di Alberto Lattuada, Gremese, 1985; la cura del numero monografico Sessantotto e dintorni, Bianco e Nero, 1998.
Lo si può rivedere – ed è quasi emblematico – nel ruolo di un ufficiale sovietico in Cuori senza frontiere (1950, di Luigi Zampa).