Il giorno precedente, il 13, Issur Danielovitch, il produttore esecutivo, ha cacciato dal set il regista Tony Mann giacché rischiava di trasformare in un western alla antico-romana il film cui tiene moltissimo e per il quale si è battuto contro ogni ostacolo e ogni prevenzione.
Di prevenzioni lui stesso ne sa qualcosa: con quel nome ebraico-russo (quindi potenziale comunista) non avrebbe fatto molta strada, meglio chiamarsi Kirk Douglas. E poi lo sceneggiatore di questo film, che vuole anche interpretare (figurarsi, vorrebbero al suo posto Laurence Olivier, che dovrà accontentarsi di essere Crasso), risulta tale Sam Jackson, ma che (nessuno lo sappia) altri non è che il comunista Dalton Trumbo, condannato dal maccarthismo all'inattività o all'anonimato. Il film, per giunta tratto dal romanzo di un altro sovversivo, Howard Fast, e dedicato all'eroe dei libertari di tutti i secoli, rischia di non avere un degno regista.
Ci si è provato, prima di finire su Mann, con Delmer Davis, Peter Glenville, David Lean, Joe Mankiewicz, George Stevens, ma risultano inadatti o indisponibili. Quasi un ripiego è un «ragazzetto presuntuoso del Bronx», la cui «sicurezza rasenta l'arroganza», un «ragazzetto pallido e stropicciato, più un beatnik che un capo», il quale – assicura lo stesso Kirk – oltretutto indossa dall'inizio delle riprese lo stesso blazer e gli stessi pantaloni cachi, forse nemmeno si lava molto.
Il suo nome è Stanley Kubrick e il capolavoro si intitolerà Spartacus (cfr. Kirk Douglas, Io sono Spartacus!, Il Saggiatore, 2013).