Nasce a Taggia (Imperia), ma è da considerarsi napoletano a tutti gli effetti, il regista forse più popolare del cinema italiano: per decenni basta il suo nome ad attirare il pubblico, ma questa garanzia non è sufficiente per trovargli un posto nella storia o per identificare un film memorabile tra gli oltre cento da lui firmati. Belle contraddizioni del rapporto spettatori-critica. Il suo nome è Carmelo Camillo Gallone detto Carmine, e il suo segreto consiste essenzialmente nel trasporre sullo schermo rifacimenti storici e temi operistico-musicali per apprezzare i quali non occorre essere laureati. Questo Cecil B. DeMille nostrano ci lascia infatti ingenui colossal congeniali al fascismo (da Gli ultimi giorni di Pompei, 1926, a Scipione l’Africano, 1936) e innocui film per melomani ben accetti da tutti i governi (Casta diva, 1936, Puccini, 1953, o Casa Ricordi, 1954), per concludere, come si merita, con due film della serie Don Camillo, prima di morire, quasi dimenticato, a Frascati il 4 aprile 1973