Non sono in molti ad accorgersi della scomparsa dell'ultranovantenne Elisha Vanslyck Cook Jr., come non sono stati in molti, almeno da noi, a memorizzare il suo improbabile nome (qualcuno pensava fosse una donna), il suo complicato middle name e il suo sin troppo comune cognome, con quel Jr. che faceva pensare a un figlio d'arte, mentre il padre era un modesto farmacista.
Ma quando Cook compariva sullo schermo, spesso ad azione iniziata, letteralmente lo bucava e si pregustavano le sue gesta di vilain nevrotico, di gangster sadico, di giannizzaro crudele, sempre di perdente, con quello sguardo gelido, quegli occhi sbarrati, quell'espressione inespressiva (concedeteci l'ossimoro) da consumatore abituale (si sarebbe detto) di cocaina. Non importa se gli spettatori delle quarte visioni lo salutavano, lui che misurava appena 165 cm, con l'epiteto “piscinin, brut e cativ”.
Attore precocissimo, adolescente inquieto e curioso del mondo, viene scoperto a Broadway addirittura da Eugene O'Neill per il suo Ah, Wilderness! (Fermenti, 1933), che resta in cartellone ben due anni. Tre anni dopo è a Hollywood e, nonostante la lunga gavetta, i ruoli ripetitivi, le occasioni mancate, definirlo “caratterista” è un'offesa alle sue qualità di grande attore.
Interprete di un numero incalcolabile di film, tv movie e serie televisive, almeno una quarantina dei quali degni di attenzione, a preservarne la memoria basterebbero Il mistero del falco (1941, Huston), Il cavaliere della valle solitaria (1953, Stevens) e Rapina a mano armata (1956, Kubrick). Ma contribuiscono anche La donna fantasma (1944, Siodmak), Il grande sonno (Hawka, 1946), Perfido inganno (1947, Wise), Il grande Gatsby (1949, Nugent), e poi, più tardi, Rosemary's Baby (1968, Polanski), L'imperatore del Nord (1972, Aldrich), Pat Garrett e Billy the Kid (1973, Peckinpah), Electra Glide (1973, Guercio), 1941: allarme a Hollywood (1979, Spielberg), Hammett: Indagine a Chinatown (Wenders, 1983), che anche la sua presenza contribuisce a trasformare in veri cult.