L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

Il genio d'Artagnan

Muore a Roma a soli 36 anni Enzo Ungari (era nato alla Spezia il 13 luglio 1948).

Oggi il burocratico compilatore intermittente di queste noterelle quotidiane può permettersi un - isolatissimo, non si tema! - exploit autobiografico, avendo avuto dalla vita il dono di frequentarlo quotidianamente: non però l'Enzo noto all'universo mondo dei cultori e degli appassionati, quello romano di Filmstudio e di “Cinema & Film”, di Massenzio e del lavoro di sceneggiatura coi Bertolucci e Argento, Amico e Borowczyk, o quello veneziano dell'invenzione di MezzogiornoMezzanotte per le edizioni dirette da Lizzani tra i '70 e gli '80; ma quello, a malapena ventenne e ancora profeta in patria, animatore del Circolo “Charlie Chaplin” a La Spezia, luogo d'invenzione della rivista al ciclostile “Giovane Cinema”, da lui scritta, assemblata e spedita manualmente di persona (due corposissimi fascicoli, uno dei quali numero doppio: in fondo a qualche cassapanca devono esserci ancora, come la collezione altrettanto completa del successivo “Falcone Maltese” di Genova con Ghezzi & Co.).

Siamo nella seconda metà degli anni Sessanta. Lo scenario è quello della riviera ligure di levante, ancora fresca del profumo del festival del cinema latinoamericano e delle lezioni di padre Arpa e di Gianni Amico. Punta di diamante, proprio al centro della direttrice Genova-La Spezia, l'allora smagliante cineclub di Sestri Levante, con Giorgio Marsiglia, Sandro Cozzani, Vincenzo Gueglio (poi verrà la meteora generosa del “Buňuel” di Chiavari con Carlo Finale e Gianluigi Dalla Valle...).

A Genova c'è già l'intensissima attività sui classici allora sconosciuti del CUC al cinema “Centrale”, con Ambrogio, Viganò e Humouda; dalle proiezioni gesuitiche dell'”Arecco” sta per affacciarsi anche Oreste De Fornari. Ma batterà tutti l'attività spezzina del “Chaplin”, la domenica mattina, in un cinemino a lato della stazione, che ormai da molti anni non c'è più, e del quale non ricordo il nome.

L'occasione della conoscenza con Enzo è, ripensata ora, insieme parodistica e da vergognarsene. Sto collaborando da un anno più o meno a “Filmcritica”, arruolato da Edoardo Bruno senza troppi problemi nel vuoto determinatosi con la “scissione” di Aprà, Ponzi, Faccini e degli altri che hanno fondato “Cinema & Film”. Mi arriva un questionario con alcune domande sul cinema e la critica, battuto a Lettera 22 e ciclostilato (come appunto la rivista, al cui primo numero le risposte sono destinate). Mittenti: un gruppo di ragazzi di La Spezia che non conosco (abito da poco a Rapallo, ma non sono mai neppure stato, fino ad allora, in quella città). Rispondo lentamente, svogliatamente, con sufficienza: mi sento già un addetto ai lavori “arrivato” rispetto a questi ignoti ragazzini. Che qualche mese dopo mi mandano il bustone con la rivista uscita, facendomi provare il giusto rimorso per la stupidità e la presunzione proprie di quell'età.

Gli articoli dei “ragazzini” sul numero d'esordio del loro “Giovane cinema” sono infatti splendidi, pur nel loro estremismo un po' delirante: mi inchiodano, per una delle prime e poi tante volte, al mio inesorabile e approssimativo dilettantismo. Io e Giuliana Callegari - con la quale sto apprestandomi a dividere la vita - restiamo colpitissimi dal lavoro del gruppo. Seguono ben presto conoscenza e frequentazione. E per Giuliana, cultrice dumasiana impenitente, dei quattro moschettieri spezzini (gli altri tre si rivelano Franco Ferrini, Alfredo Rossi e Fabio Carlini: nessuno di loro si fermerà...) Enzo, in virtù della sua barba con pizzetto, e soprattutto del suo incontenibile dinamismo fisico, resterà sempre, facilmente ma molto affettuosamente, d'Artagnan.

I ricordi di quegli anni sono tra i più belli della vita. I bagni dalle scogliere impervie del levante con loro, noi due e la carissima Fiorella Giovanelli che allora divide la vita con Enzo (e più tardi, con altrettanta sfortuna, farà la stessa cosa con Gianni Amico, rivelandosi comunque una delle più brave montatrici del cinema italiano). Il parlare di cinema e l'andarci sempre e ovunque, mentre i nomi di “Giovane Cinema” cominciano ad essere gradualmente importati da Aprà a “Cinema & Film” e gli spezzini - in particolare Enzo e Franco; Fabio punterà invece poi su Milano; Alfredo preferirà continuare a godersi la terra di mezzo tra Liguria e Toscana - si romanizzano, poi definitivamente (Franco sceneggerà addirittura per Sergio Leone, e firmerà un film lui stesso).

Un pomeriggio domenicale, eccoci tutti a Pisa dove proprio Adriano sta girando Olimpia agli amici. Ferrini gira e rigira, con la sua piccola super8, i molti ciak della non facile scena in cui la stupenda Carlisi (presentatami qualche mese prima da Aprà una sera a Ferrara: forse la donna più bella tra quelle viste dal vivo in vita mia) sulla canna di una bici pilotata da Dublino -è giusto?- scende trepidamente da una strada in discesa con curva. Anche questa piccola bobina, oggi di fatto improiettabile, dev'essere ancora in fondo a un cassetto sconosciuto.

Ma i veri incanti domenicali sono gli appuntamenti del “Chaplin”. Partiamo da Rapallo appena fa chiaro sulla 500 gialla del romanziere Nino Palumbo. Non c'è ancora l'autostrada, bisogna fare il Bracco e il Bocco, arrivare alla Spezia in due ore-due ore e mezzo è già da record. L'incantesimo della prima conoscenza, per dire poco, de La stregoneria attraverso i secoli e di Scarface viene da lì. Poi tutti insieme a mangiare pesce in una terrazza sul mare di Lerici: troppo bello.

Con Enzo a Rapallo, nell'estate in cui riempiamo ogni sera di bagnanti entusiasti il cinema all'aperto dei preti con Ford, Hawks, Hitchcock e Walsh, prendiamo l'aperitivo al bar che reca ancora, pur se soltanto quello, il nome del mitico Chuflai di Ezra Pound e del pittore Oreste Bogliardi. Sul librino-catalogo con gli immancabili “migliori film” dei quattro maestri hollywoodiani, accanto ai critici importanti che ci stanno (Aprà, Bruno, Fink, Morandini, chi altro?), infilo con entusiasmo anche i moschettieri.

Il penultimo ricordo nitido sa già di congedo. Enzo è già più romano che ligure. Una mattina mi suona senza preavviso il campanello di casa, entra e mi mette tra le braccia un enorme scatolone portato in auto, pieno di pubblicazioni straniere su Hitchcock. Devo trarne, come mi aveva preavvisato, “la più completa, analitica, esatta e minuziosa” filmografia mai uscita in Italia, con i trailers e gli “Hitchcock presenta”. Ci lavoro tutta l'estate, accantonando la già tardigrada tesi su Visconti con Vito Pandolfi che mi sta uccidendo. Dovrebbe essere l'estate 1969, occhio e croce: la rivista uscirà ben più tardi con due numeri hitchcockiani, che saranno anche il suo canto del cigno. Sul secondo ritrovo - ma è passata un'eternità - la “mia” filmografia, che a mente mi pare tale e quale (non c'erano i files, non usavo la carta carbone) a come l'avevo spedita per posta, ma è “a cura di Adriano Aprà”, e in fondo, dopo pagine e pagine di testo e di fatica, in chiusura c'è la generosa notizia tra parentesi che “avevo collaborato”. Meno male.

L'ultimo ricordo diretto è dell'anno dopo, 1970. Bernardo Bertolucci viene a Genova per presentare al “Centrale” Strategia del ragno, che vediamo finalmente a colori dopo il passaggio biancoenero della tv. La discussione si accentra soprattutto su questo, moralistica e pedante (il regista si secca): è lecito accettare, da parte di chi l'ha fatto, che passi senza colore un capolavoro cromatico simile? Altri tempi. Enzo insiste sulla convinzione che Partner avesse rappresentato “un geniale errore”. Non so se, a Roma, abbia più avuto modo di discuterne con Bertolucci.

Quando mi giunge, non ricordo come e da chi, in quell'epoca beata senza “telefonìa mobile” e senza rete (in tutti i sensi), la notizia che non c'era più, chiudo a doppia mandata la porta dell'ufficio, stacco il telefono, infilo nella portatile un foglio protocollo a quadretti e butto giù in quattro e quattr'otto il pezzo migliore - o l'unico veramente decente? - della mia vita, in ricordo di Enzo. Il pur grandissimo direttore/padrepadone della rivista per cui scrivevo allora come oggi non me lo passerà (“non mettiamo necrologi”). Ogni tanto mi torna in mano in qualche remoto riordino. Il direttore si autosmentirà tredici anni dopo per Giuliana, e gliene sono grato, come per tante altre cose, ancora adesso.

Nel 2008 le generalità del d'Artagnan autore di copioni torneranno, postumamente, sugli schermi (e nel 2010 sui teleschermi) grazie alla tarda ma meritoria realizzazione di Sanguepazzo di Marco Tullio Giordana.

Riprendendo in mano oggi i suoi libri (Schermo delle mie brame, da lui assemblato nel '78; le due raccolte postume ben curate da Aprà per Il Castoro, e non solo quelle) la convinzione di allora si ribadisce facile: d'Artagnan era un genio.