Scompare, all'età di 80 anni, il torinese Nino (Leone) Ferrero, e oggi, come forse allora, chissà quanti ricordano questa straordinaria figura.
Capitano dell'esercito, iscritto segretamente al Pci, collaboratore de l'Unità dalla Toscana sotto lo pseudonimo di Nef, per quarant'anni contribuisce al giornale comunista uscendo allo scoperto solo dopo aver abbandonato la carriera militare.
Ricorderà Diego Novelli, direttore dal 1961 dell'edizione torinese: «Il fatto che un ufficiale del nuovo esercito italiano, nato dopo la guerra di Liberazione a cui aveva partecipato, non potesse manifestare liberamente le proprie convinzioni politiche, lo imbestialiva. A questo riguardo manifestò personalmente il suo rammarico a Palmiro Togliatti venuto un giorno a trovarci in redazione, in occasione di “Italia 61” (il centenario de l'Unità d'Italia). Di fronte a quel bellissimo ufficiale Togliatti cercò, un po' imbarazzato, di spiegarci che forse non era opportuno venire al giornale in divisa di capitano».
Attivo appunto presso l'edizione di Torino e poi in quella nazionale, si occupa non solo di cinema (una sua autentica passione: sua fra l'altro una piccola monografia su Francesco Rosi, pubblicata dall'Aiace nel 1972) e di cultura, ma anche di grandi inchieste: i campi paramilitari dei fascisti di Ordine Nuovo, la penetrazione mafiosa nei cantieri edili della Val di Susa, il nuovo terrorismo. Causa l'impegno in quest'ultima direzione viene gambizzato il 18 settembre 1977 da “Azione rivoluzionaria” restando parzialmente invalido. La sua esclamazione “Sono un comunista!” non ferma gli attentatori. Ma, volendo di nuovo capire, stabilisce nel carcere di Bergamo stretti rapporti con loro. «Devo convincerli – era solito dire – del danno che la lotta armata ha provocato in Italia, soprattutto alle classi subalterne.»
In morte, Novelli, già sindaco di Torino, ricorderà: «Nino Ferrero ha vissuto sino all'ultimo giorno con la coerente lucidità che lo ha accompagnato per tutta la sua esistenza. Lo dico senza un velo di retorica: è morto un autentico comunista italiano».
Quanto a noi lo ricordiamo non solo per il suo acume e per la sua sdegnosa/indignata simpatia, ma anche per il vezzo dei cappelli a larghe tese e delle eleganti giacche. Un signore.