A Ischia, in una strada di Lacco Ameno, hanno apposto una targa ricordo sulla facciata della casa natale e a Ischia, come ricordava l'amico Paolo Stoppa negli anni '60, tentò invano di interpretare un film, pur avendo rivolto più volte la richiesta a svariati registi che vi approdavano. Ma è molto lontano dall'isola che si è svolta la straordinaria attività cinematografica di Eduardo Ciannelli, scomparso a Roma in questo giorno di 45 anni fa.
Quando il suo nome compariva, dopo i protagonisti, nei titoli di testa di qualche film hollywoodiano, spesso ci si chiedeva chi fosse mai quell'italiano, o presunto tale, di cui nulla si sapeva. Ma il suo aspetto di uomo duro e malvagio risultava inconfondibile e non lasciava adito a dubbi. Avremmo saputo in seguito della sua straordinaria somiglianza con Lucky Luciano, anche se da subito l'avevamo conosciuto come gangster ìn Sotto i ponti di New York (1936, di Alfred Santell) dal dramma di Maxwell Anderson, premiato per la fotografia di Nathaniel Shilkret alla Mostra di Venezia del '37.
Questo esordio comunque lo marchiò e mutò la vita del figlio di un medico napoletano giunto in Usa negli anni '20 in qualità di cantante d'opera – era baritono – e affermatosi anche come interprete di commedie musicali a Broadway. Dalla lirica passò quasi subito alla prosa: nel 1927 fu attore e regista dell'edizione inglese di Marionette che passione di Rosso di San Secondo e nel 1928 si segnalò per la sua ottima interpretazione di The Front Page, di Hecht e MacArthur, ovvero, al cinema, La signora del venerdì o Prima pagina. Quel cinema in cui avrebbe sempre interpretato lo stesso personaggio in parti di villain, con la sua maschera particolare e il suo ghigno poco raccomandabile, riuscendo a emanare una naturale cattiveria. Anche se nella vita tutti se lo rammentano come un uomo dal carattere mite e gentile, solare e allegro, brillante e divertente.
Lo ricordiamo in Le cinque schiave (1937, di Lloyd Bacon) alle prese con Bette Davis, nel suo ruolo più famoso quello del guru fanatico di Gunga Din (1939, di George Stevens), in L'isola del diavolo (1940, di Frank Borzage) accanto a Joan Crawford, in Il prigioniero di Amsterdam (1940, di Hitchcock). Ancora, nel dopoguerra, in Gilda (1946, di Charles Vidor) accanto alla Hayworth e in Vulcano (1950, di William Dieterle) accanto alla Magnani, il che prelude a una certa partecipazione al nostro cinema, tra alti e bassi, quanto ce l'avrebbe reso ancor più familiare: Patto col diavolo (1950, di Chiarini), Gli inesorabili (1950, di Mastrocinque), È l'amor che mi rovina (1951, di Soldati), Processo alla città (1952, di Zampa), I vinti (1953, di Antonioni), La mano dello straniero (1953, di Soldati), Proibito (1954, di Monicelli).
Il suo ultimo film, poco prima della morte, fu Il segreto di Santa Vittoria (1969, di Stanley Kramer), ancora accanto alla Magnani. Si direbbe che solo le attrici dal forte carattere potevano confrontarsi, sullo schermo, con lui.