Fra i “ritratti” che ci ha lasciato Carlo Mazzacurati (Mario Rigoni Stern, Luigi Meneghello, Andrea Zanzotto), purtroppo tutti i quattro scomparsi, quello dedicato al poeta con la preziosa collaborazione di Marco Paolini (2009) è senz'altro il più emotivamente coinvolgente, in virtù della mitezza e dell'apparente candore con cui il protagonista, quasi novantenne, affronta temi essenziali dell'esistenza e della società.
«La conversazione di Marco Paolini con Andrea Zanzotto si svolge attorno a tre temi fondamentali: la natura, la lingua e la storia. Il poeta racconta del paesaggio e della natura, a cui si rivolge in un rapporto di continuo interscambio e risonanza, ma anche dell'improvvisa mutazione, della cementificazione che l'hanno colpita. Parla di come si è formata la sua lingua, in un viaggio accidentato fatto di incroci e impasti che uniscono lessico familiare, musica e canti di un paese ad altri linguaggi, frutto di un instancabile lavoro di ricerca e di acquisizioni fatte nella cultura letteraria; fino ad arrivare alla sua idea di poesia, una lettera che deve girare, viaggiare, raccogliere novità ma che vuole poi tornare al mittente. Nega infine il suo rapporto con la Storia, ripercorrendo le tracce fondamentali di quello che è stato definito il "secolo dell'ottimismo", nella profonda contraddizione tra la crescente fede nella scienza e la crisi di qualsiasi forma di razionalità che l'hanno caratterizzato» (dalla presentazione del documentario).
Nato in questo giorno a Pieve di Soligo, il paese della Marca trevigiana cui resterà sempre sentimentalmente legato, Andrea Zanzotto è un mirabile poeta sociale, politico e ambientale, dotato, sin dall'epoca del suo esordio con Dietro il paesaggio (1951), di una sapienza antica di fronte ai guasti dei nostri tempi.
Ma un più grande pubblico corre il rischio di averlo conosciuto e di ricordarlo essenzialmente per la sua curiosa collaborazione con Fellini. Lo conosce nel 1970, a una prima di I clowns, e nell'estate 1976, su segnalazione di Nico Naldini, inizia a collaborare al Casanova: nello stesso anno pubblica Filò, che comprende la lettera di Fellini, dove dichiara le sue aspettative, i versi per Casanova, quelli sul dialetto, e una lunga nota, oltre a cinque disegni del regista e alla trascrizione in italiano delle parti in dialetto di Tiziano Rizzo. Nel 1980 scrive alcuni dialoghi e parti di sceneggiatura per La città delle donne; nel 1983 i cori per E la nave va.
Questo e altro viene documentato dal bel libro Il cinema brucia e illumina. Intorno a Fellini e altri rari (Marsilio, 2011), a cura del solerte e affettuoso Luciano De Giusti, stampato appena un mese prima che Zanzotto ci lasciasse.
Dalla conversazione tra i due, fortemente riferita al cinema, a partire dai ricordi d'infanzia, riportiamo un brano riguardante Pasolini e il suo Salò: «[Un film inutile] perché c'era alla base una forte volontà di esibizionismo. Di Salò mi è dispiaciuto anche perché già mi aveva parlato del film su san Paolo che ritengo invee un progetto di altissimo valore e che doveva, proprio per un bene pubblico, essere realizzato. […] E invece poi prevalse questa esigenza del macabro. […] Salò è l'antipoesia totale. Corrisponde a un collasso della sua situazione interiore. Anche se non penso che abbia voluto macchinare il progetto di farsi uccidere. Purtroppo il dramma di Pasolini resta lì come qualcosa di oscuro, come un fondo non chiaro nonostante le rivelazioni che un poco alla volta vengono fuori. In Petrolio ci sono tante cose che fanno pensare, non ancora risolte. È proprio vero che, anche secondo me, Petrolio anticipa l'Italia attuale, col collasso di tutto, il collasso di un paese che frana, smotta...».
È proprio vero che, come e più del cinema, anche la poesia brucia e illumina.