L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

Ricordando Valeria

Tra le decine di “belle figliole”, spesso opportunamente maggiorate, per le quali “gli italiani si voltano” nel malizioso episodio omonimo diretto da Lattuada per lo zavattiniano L'amore in città (1953), una si distingue fra tutte. Come non era sfuggita agli occhi del regista voyeur, non sfuggì nemmeno ai nostri occhi di adolescente inquieto e per di più amante (del cinema). Non era l'originalità dell'abbigliamento (camicetta nera con scollatura a punte, pantaloni attillati pure neri, pesante cintura svolazzante in vita), né per il fisico elegante ma non appariscente, né per l'andatura decisa ma non provocante: era per lo sguardo sdegnoso e determinato che reggeva ed esaltava l'insieme. Una donna di classe (a differenza delle altre), tant'è che la vediamo uscire dall'hotel Hassler a Trinità dei Monti e più tardi ambientare la sua travolgente camminata in via Condotti. Solo anni dopo si scoprì che quella bellezza, dal volto vagamente orientale, era Valeria Moriconi.

Passarono molti lustri prima che potessimo incontrarla, nell'improbabile scenario delle grotte Valdemino di Borgio Verezzi, già misteriosamente sofferente (tanto da dover evitare l'umidità di quella location speleologica), a presentare un libro su Alida Valli, e ne apprezzassimo la verve, la grinta, l'umanità ma anche l'intramontabile bellezza (quella che conquistò il suo partner Gérard Philipe). Era il 1995 e dieci anni dopo, in questa data, ne avremmo appreso la scomparsa, nella casa di Jesi cui era rimasta fedele Valeria Maria Abbuzzetti, per quel tumore alle ossa.

Grande interprete del teatro italiano (esordisce nel 1957 con Eduardo De Filippo, forse dà il meglio di sé con Franco Enriquez, anche compagno di vita per 18 anni, resta tenacemente attiva sul palcoscenico sino alla fine) e ben nota anche al pubblico televisivo (basti ricordare, oltre alle numerose trascrizioni teatrali e a varie serie tv, Resurrezione, 1963, di Enriquez e Il mulino del Po, 1971, di Sandro Bolchi, ove fornisce prove eccellenti), ha anche una lunga filmografia, benché diffidi del cinema e del suo ambiente e adori soprattutto il palcoscenico.

Dopo averla notata “di fronte e di spalle” ne Gli italiani si voltano, l'avevamo apprezzata in Un turco napoletano (1953, Mattòli), Terza liceo (1954, Emmer), La spiaggia (1954, di Lattuada), Gli innamorati (1955, Bolognini), e sono sempre – prima di volgersi al teatro – belle e fresche partecipazioni. Tra i suoi molti film successivi non si salvano tutti (qualche volta si ha l'impressione che si tratti di questioni gastronomiche), anche se il livello professionale è sempre alto e la sua presenza è sempre una garanzia. Ricordiamo almeno: A cavallo della tigre (1961, Comencini), Un giorno da leoni (1961, Loy), La costanza della ragione (1964, Festa Campanile), Le soldatesse (1965, Zurlini), Una macchia rosa (1969, Muzii), Improvviso (1979, Edith Bruck), La fine è nota (1993, Cristina Comencini). Un titolo quasi premonitore.