Muore a Los Angeles (California), all'età di 76 anni, per infarto, Lionel Rogosin, nato a New York nel 1924.
Nemmeno questa scarna notizia appare sui giornali italiani dell'epoca e oggi di lui si è persa addirittura la memoria. Si è fatto un gran parlare del New American Cinema, il movimento nato nel 1960, che mischia oppositori, sul piano artistico e produttivo, dell'industria culturale (la Shirley Clarke di The Connection, il Jonas Mekas di Guns of the Trees, i due Mekas di Halleluja the Hill) e sperimentalisti poetici collegati alle avanguardie storiche (tipo Stan Brakhage o Gregory Markopoulos), ma si è perso di vista colui che li ha temporalmente preceduti nell'ambito della “scuola di New York”, che nel loro movimento è confluito e soprattutto che li ha supportati.
È l'autore – con un taglio tra il servizio televisivo e il cinema-verità – nel 1956 dell'inchiesta documentaria On the Bowery (premiato alla Mostra di Venezia) sugli homeless newyorchesi e nel 1958 della fiction documentaria Come Back, Africa (Africa in crisi) girata clandestinamente nel Sudafrica dell'apartheid. In seguito, tra l'altro, produce, scrive e dirige in Inghilterra Good Times, Wonderful Times (1965) sugli orrori delle guerre, dedica al problema nero Black Roots (1972) e Black Fantasy (1972) e all'integrazione razziale Woodcutters of the Deep South (1972, mai distribuito), lavora per qualche tempo in Israele (Arab-Israeli Dialogue, 1973, girato in un solo pomeriggio e tale da scontentare entrambe le parti), gestisce (1960-1974) una sala al Greenwich Village (Bleecker Street Cinema) e distribuisce cinema militante con la sua Impact Films (1966-1978).
Si afferma così in quell'ambito come una delle voci più impegnate e meno concilianti, con una vasta gamma di attività e progetti per un ventennio, finché non viene ridotto al silenzio. Una figura da non dimenticare. E che si vorrebbe d'attualità.