Un po' di cronaca. Nel primo anniversario (18 dicembre 1997) della scomparsa di Marcello Mastroianni, RaiDue gli dedica «Caro Marcello», una penosa giornata tutta a gridolini. Lo si ricorda sorprendentemente con Mara (episodio di Ieri, oggi e domani (1963, di De Sica), banalmente con Matrimonio all'italiana (1964, di De Sica), più umanamente con la registrazione del recentissimo spettacolo teatrale Le ultime lune (di Furio Bordon). Negli intervalli, per ore bamboleggiano, guidati dal trepidante Paolo Limiti, donne e attrici, compagni di strada e compagne di vita (ma non tutte).
Da tempo colpito da tumore al pancreas, Mastroianni è morto il 19 dicembre 1996 in una casa parigina, assistito dalla compagna Anna Maria Tatò (assente dalla trasmissione), visitato dall'ex compagna Catherine Deneuve, lontano dalla moglie Flora Carabella. Nato il 28 settembre 1924 a Fontana Liri (Frosinone), era fratello del montatore Ruggero, scomparso qualche mese prima. Doppie esequie: a Parigi, più intime (anche se purtroppo in chiesa), e a Roma, più pompose, proprio da Campidoglio. Una sfilata di prime donne (quasi tutti uomini) e delle loro ambizioni politiche o comunque professionali.
I giornali italiani gli riservano per tre giorni un numero di pagine superiore persino a quelle dedicate alla scomparsa di Fellini. Impossibile ricordare tutti i suoi film, da I miserabili (1948, di Freda, un autore per il mercato) a Tre vite e una sola morte (1996, di Ruiz, un autore per l'élite). Un titolo, quest'ultimo, che sembra fatto apposta per lui.
Ma è stato davvero così grande Marcellino, come lo chiamava il suo alter ego regista? Pare di maralmaldeggiare sostenendo il contrario, eppure il bel Marcello non ci è mai veramente piaciuto, né come uomo né come attore. Un altro italiano tipo, un po' mammone (anche nei confronti delle sue e altrui donne), un po' giuggiolone, un po' piacione. Uno che non si decideva a invecchiare, e quando ciò inevitabilmente accadde assunse le sembianze di un orsacchione sonnolento (come la prima e unica volta che lo vedemmo da vicino, con il suo pellicciotto, a scaldarsi presso il caminetto della casa di Pennabilli di Tonino Guerra).
A ripercorrere la sua lunga carriera di attore non sono mancate le prove esemplari, anche perché credevano sorprendentemente in lui registi di calibro (Visconti, Fellini, Antonioni, De Sica, sino a Anghelopoulos), altri hanno tentato di rompere il suo cliché e di renderlo grottesco (Germi, Ferreri) e funzionava bene l'accoppiata con Sophia Loren (specie per Una giornata particolare), ma a guardar bene i film ove debba confrontarsi con altri interpreti maschili (tre per tutti, I soliti ignoti, Fantasmi a Roma, La grande abbuffata) la sua pochezza è evidente. Il tragico gli è ignoto, il drammatico gli va stretto, il vero comico gli è escluso: resta l'eterna commedia agrodolce, in salsa di qualcosa o all'amatriciana. Una voce suadente, un sorriso tra il tenero e il mesto, uno sguardo timido o assassino, movenze felpate e un lieve ingobbimento fanno il resto.
Quel che degli uomini piace alle donne. Almeno alcune.