L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

Simone prima di Brigitte

Ben prima di Brigitte Bardot c'è un'altra ragazza francese che si merita l'appellativo di sex kitten e che avrebbe potuto anticiparne l'intera carriera se i tempi fossero stati più impudichi o meno ipocriti, o forse se non avesse ceduto, volutamente o forzatamente, ai miti hollywoodiani. Eppure è proprio a Hollywood, sia pur guidata da un connazionale anche lui immigrato, che deve il film che l'ha resa immortale nell'immaginario collettivo: alludiamo a Jacques Torneur, il “mago del fantastico” tra noir, horror e thriller, a Il bacio della pantera (1942) e naturalmente a lei, Simone Simon (nata presso Marsiglia in questo giorno).

È un'altra diva tascabile (1 metro e 57) ma dal fuoco inesauribile sullo schermo come nella vita, una che non cedette mai alle lusinghe del matrimonio ma che non si fece mancare innumerevoli amori (compreso un agente segreto del MI5, il controspionaggio britannico, così da meritarsi le attenzioni della CIA). Eppure aveva già dato prova del suo temperamento in patria, prima, poco più che ventenne, con Il lago delle vergini (1934, Marc Allégret), poi, dopo un deludente primo soggiorno americano (ragazza di strada in Settimo cielo, 1937, Henry King), nel ben più impegnativo L'angelo del male (1936, Renoir), amante perversa dell'etilico Jean Gabin. Dirà di lei in questa occasione il grande regista: «Severine non è un vampiro È un gatto, un vero gatto, con un serico mantello che chiede di essere accarezzato, un bel musino, una grande bocca supplichevole e occhi pieni di promesse».

Da gattina a pantera il passo è breve (se è vero, come è vero, che Dio creò il gatto per dare la possibilità all'uomo di coccolare i grandi felini), e Simone non delude (ben le si attaglia una battuta del film: «No, non è bella: è una bestia malvagia. Legga la Bibbia, signora. Nell'Apocalisse, dove si parla del dragone, della bestia peggiore di tutte, è scritto: “E la bestia che io ho visto era simigliante ad un pardo”»), come non stupisce il suo temperamento: ingrata verso Renoir, ha preteso 800.000 franchi (un terzo dell'intero budget) per interpretare il successivo La règle du jeu e naturalmente ottenuto un cortese rifiuto.

Non hanno invece fatto questione di soldi il produttore Darryl F. Zanuck, che la scrittura per undici film, o in seguito la RKO (sebbene lei non sia mai soddisfatta del compenso percepito), ma, oltre Il bacio della pantera, si conserva memoria solo del suo seguito ideale, Il giardino delle streghe (1944, Robert Wise), e di Mademoiselle Fifi (1944, ancora Wise), rivisitazione del maupassantiano Boule de suif.

Tornata nella Francia libera nel 1946, la si incontra in Quello che mi è costato amare (1946, di Marcel Pagnol, accanto al concittadino Fernandel) e soprattutto in due deliziosi ruoli per Max Ophüls (La ronde, 1950, e Il piacere, 1952), nonché in Olivia (1951, Jacqueline Audrey), impegnata accanto a Edvige Feuillère in una storia dalle sfumature lesbiche.

Alla metà degli anni '50, si ritira. L'ultimo film di questo autentico ed inquietante mito è La femme en bleu (1973, Michel Deville), nella parte un po' patetica di se stessa. Dopo di che rifiuterà persino di farsi fotografare. Muore il 22 febbraio 2005 a Parigi, all'età di 94 anni.